Organizzazioni Agricole
Cia, conti in rosso per il comparto agricolo nel 2010
Se il 2009 è stato un anno da dimenticare, il 2010 è un anno nuovamente difficile per l’agricoltura italiana. I dati parlano chiaro: calo della produzione (meno 1,8 per cento) e del valore aggiunto (meno 3 per cento), prezzi non remunerativi (la crescita dello 0,8 per cento non recupera affatto il crollo del 14 per cento registrato l’anno precedente) e costi e oneri complessivi in ulteriore crescita (più 4/5 per cento), calano solo quelli dei fattori produttivi (meno 0,5 per cento), mentre i redditi degli agricoltori dovrebbero subire un nuovo “taglio”, ma certamente meno drastico (tra il 6 e il 7 per cento) rispetto ai precedenti dodici mesi, quando segnarono una flessione di circa il 21 per cento.
E così oltre 25 mila imprese sono state costrette a chiudere. Note positive, invece, dall’export in crescita di circa il 20 per cento e dall’import in lieve rallentamento (meno 0,6 per cento): risultati che riducono il disavanzo della bilancia commerciale agroalimentare (meno 24 per cento in volume e meno 10 per cento in valore). I consumi alimentari domestici dovrebbero rimanere ancora una volta al palo (meno 0,2 per cento). Queste le stime della Cia-Confederazione italiana agricoltori presentate a Roma dal presidente Giuseppe Politi durante la sua relazione all’Assemblea nazionale.
Il calo della produzione agricola -sottolinea la Cia- è dovuto soprattutto alla contrazione delle coltivazioni (meno 4,9 per cento). In crescita (più 2,3 per cento), al contrario, dovrebbe essere l’andamento del settore zootecnico. In discesa dovrebbero risultare, in particolare, il comparto dei cereali e quello ortofrutticolo (trainato in special modo dal pomodoro da industria e dalla frutta estiva).Uno scenario critico che vede in risalita soltanto l’olio d’oliva (dove è attesa una crescita del 6 per cento).
Resta sempre difficile, anche se meno rispetto allo scorso anno, il fronte dei prezzi agricoli all’origine. Nel 2009 -ricorda la Cia- si registrò una diminuzione di circa il 14 per cento. Il 2010 dovrebbe chiudersi con una crescita dello 0,8. Frutto, questo, di andamenti contrastati tra i prodotti: in aumento latte e derivati, olio d’oliva; in riduzione le colture industriali, i vini e la frutta.
Il 2010 conferma, così, la forte variabilità dei prezzi all’origine dei prodotti agricoli. È vero che c’è un buon recupero nella seconda parte dell’anno, ma -avverte la Cia- ritorniamo ai livelli precedenti il “boom del 2008”. Nel terzo trimestre del 2009 si tocca il punto più basso; da allora si ha una progressiva ripresa in sintonia con le dinamiche dei mercati internazionali. Un recupero che, tuttavia, non risolve i problemi degli agricoltori anche perché le quotazioni sui campi non sono di certo remunerative.
Se guardiamo all’andamento tendenziale degli indici, abbiamo un quadro molto diversificato dove spicca, tra novembre 2010 e novembre 2009 il dato positivo dei cereali (conseguente alle dinamiche dei prezzi internazionali) e quello ancora negativo dei suini e dei vini.
Il dato che emerge è che, per le principali commodities agricole esiste una forte relazione tra le dinamiche dei mercati mondiali e quello nazionale. La “incontrollata” volatilità dei prezzi è la questione del sistema agroalimentare. È una questione che impone due comportamenti: allargare lo sguardo a quanto avviene sui mercati mondiali; indicare soluzioni strutturali per mettere in campo strumenti e regole di gestione dei mercati.
Dunque, assisteremo nei prossimi mesi, a livello mondiale, a una minore offerta, a una domanda in costante aumento e a una riduzione degli stock. Tutti elementi che -rileva la Cia- fanno temere nuove possibili frizioni nel 2011 nei mercati delle commodities agricole e, in particolare, portano a prevedere prezzi ancora in crescita rispetto ai livelli già elevati registrati nella seconda metà del 2010.
È possibile, infatti, che in tale scenario -afferma la Cia- possano intervenire fattori legati alla speculazione finanziaria, che, anche se i pareri tra gli economisti sono contrastanti, sembra abbia avuto un ruolo nel condizionare i prezzi delle commodities durante la “bolla” del 2007-2008.
Analogo il discorso per i costi produttivi, contributivi e burocratici che nello scorso anno hanno segnato una crescita superiore al 12 per cento. Pur in presenza di un calo per i prezzi dei mezzi tecnici dello 0,5 per cento (grazie soprattutto alla forte diminuzione dei listini dei concimi: meno 11,4 per cento), si dovrebbe avere ancora una crescita dovuta in particolare agli oneri contributivi e agli asfissianti adempimenti burocratici. Sul futuro delle imprese, comunque, continuerà a pesare il caro carburante e l’abolizione del “bonus gasolio” che ha aggravato i bilanci delle serre.
Per quanto riguarda i consumi domestici, dopo il lieve incremento tendenziale del primo trimestre 2010 (più 0,8 per cento), le stime -ribadisce la Cia- confermano, in termini di volume, acquisti ancora al palo, mentre la spesa, sotto l’aspetto monetario, continua a diminuire a causa anche della riduzione dei prezzi al consumo (meno 3 per cento la variazione media riferita al primo semestre del 2010).
Il dato complessivo sui volumi di acquisto -come avverte anche l’Ismea nel suo ultimo rapporto- nasconde, però, al suo interno, dinamiche molto differenti da settore a settore. La stagnazione dei consumi domestici riguarderebbe, di fatto, solo alcuni dei principali aggregati: derivati dei cereali, carni suine e salumi, frutta e agrumi. Appaiono in flessione, invece, i consumi di prodotti ittici, vini e spumanti e carni bovine; all’opposto, risulterebbero in crescita latte e derivati, ortaggi e patate, olio di oliva e carni avicole.
Nel 2010 è previsto un calo (meno 3,5 per cento) degli investimenti imprenditoriali e il numero delle aziende dovrebbe segnare una nuova flessione: oltre 25 mila in meno rispetto al 2009, con una contrazione del 2,8 per cento. Un quadro allarmante al quale si aggiunge il fatto che dal 2000 hanno chiuso i battenti più di 500 mila imprese. Non basta. Solo 112 realtà imprenditoriali hanno un conduttore giovane, il 6,6 per cento del totale. Il che significa che nell’agricoltura italiana non vi è ricambio generazionale: il 16 per cento delle nuove aziende è guidato da un giovane e solo nel 2,3 per cento delle aziende storiche è subentrato un giovane nella conduzione.
Uno scenario non certo facile che conferma i pressanti e onerosi problemi dei produttori agricoli del nostro Paese. Ma ciò che pesa -conclude la Cia- è il perdurante clima di incertezza e la riduzione della capacità produttiva dell’agricoltura.