Organizzazioni Agricole
L’agricoltura italiana è la più vecchia d’Europa
L’agricoltura italiana è la più vecchia d’Europa. Per ogni imprenditore agricolo “under 35” ce ne sono ben 15 con più di 65 anni d’età. Ma la colpa non è dei giovani che fuggono dai campi, anzi. L’assenza di ricambio generazionale è piuttosto la conseguenza diretta della “corsa a ostacoli” che è oggi la nascita di un’impresa agricola nel Belpaese: scarsa mobilità fondiaria, barriere fiscali e burocratiche, difficoltà di accesso al credito e alti costi di avviamento. Tutti fattori che spiegano perché in Italia gli imprenditori “junior” nel settore sono solo il 2,9 per cento del totale: una quota ancora molto lontana dalla media Ue del 6,1 per cento.
E anche se qualcosa finalmente si muove, nello Stivale e in Europa, la situazione resta molto difficile. Tanto che in assenza di misure tempestive e di un reale cambio di rotta, l’agricoltura rischia davvero il “default”. Perché non può sopravvivere per sempre se le nuove generazioni restano fuori dal mercato. E’ questo il grido d’allarme lanciato a Bruxelles dall’Agia, l’associazione giovani imprenditori della Cia-Confederazione italiana agricoltori, nel corso della conferenza “I giovani agricoltori per l’Europa del futuro” che si è tenuta oggi nella sede del CESE.
“I giovani hanno voglia di tornare alla terra, di investire nel lavoro in campagna -ha spiegato nella sua relazione il presidente dell’Agia, Luca Brunelli-. Agevolare il loro ingresso in agricoltura è fondamentale perché significa aprire le porte all’innovazione, alla competitività, all’internazionalizzazione”. Già oggi le imprese “junior” creano in media il 35 per cento di valore aggiunto in più dei colleghi maturi, grazie a un maggior grado di dinamismo e creatività, attitudine al rischio e propensione all’export. Ma anche grazie a una più elevata sensibilità per le tematiche sociali e ambientali. Perché i giovani non si fermano solo agli agriturismi ma creano vere e proprie fattorie didattiche: in Italia le conducono il 4,7 per cento degli “under 40” contro l’1,2 per cento degli “over 40”. E poi non si accontentano solo di produrre coltivazioni certificate, ma le vendono quasi sempre in azienda: la vendita diretta, infatti, è appannaggio del 22,6 per cento degli “under 40” contro il 15 per cento degli “over”. In più, scelgono sempre un approccio eco-sostenibile nelle loro attività: i servizi per l’ambiente e la produzione di energia alternativa sono una prerogativa aziendale per il 7,2 per cento degli “under 40” contro il 4 per cento degli “over 40”.
Insomma “sono i giovani a modernizzare l’agricoltura -ha sottolineato Brunelli- e a renderla davvero multifunzionale. E questo nonostante i vincoli e il carico della burocrazia italiana che certo non incoraggia a fare impresa. Cito solo qualche esempio: ci vogliono quasi 2 anni per ottenere un finanziamento pubblico, mentre gli oneri burocratici costano a ogni azienda più di 7mila euro l’anno”. Ma se si continua così, ha ammonito il presidente dell’Agia-Cia, “se la politica non pensa a una riduzione del cuneo fiscale o a un sostegno finanziario al primo insediamento o ad agevolazioni alla nascita di forme di collaborazione tra giovani in reti d’impresa, la situazione è destinata a peggiorare. E sarà sempre più complicato restare competitivi con i nostri colleghi europei, come Francia e Germania”.
Sì, perché la situazione dei giovani agricoltori è ben diversa se si guarda a Parigi e Berlino. In Francia le imprese “junior” sono il 7,9 per cento dell’intero settore primario: vale a dire la metà delle aziende guidate da “over 65”, che rappresentano il 15,4 per cento del totale. Ancora più positiva l’esperienza tedesca, dove il rapporto è di uno a uno: gli agricoltori con meno di 35 anni sono il 7,7 per cento e quelli con più di 65 anni solo il 7,5 per cento. Tutto un altro discorso rispetto all’Italia, dove invece i conduttori agricoli “senior” arrivano a quota 44,5 per cento, superando di gran lunga anche la media Ue che si attesta al 34,1 per cento. L’Italia, insomma, fa peggio di tutti o quasi, collocandosi in fondo alla classifica sul ricambio generazionale: solo Portogallo e Romania hanno un’agricoltura più “vecchia”, con una quota di imprenditori “over 65” pari rispettivamente al 48,3 e al 45 per cento del totale.
I problemi per i giovani che vogliono fare agricoltura in Italia sorgono a monte, si è detto durante la conferenza a Bruxelles, e riguardano prima di tutto le difficoltà legate all’accesso al bene terra. Se in Francia un ettaro costa in media 5.500 euro e in Germania 6.500 euro, da noi i prezzi sono assolutamente proibitivi: un ettaro di terreno viaggia mediamente intorno ai 18 mila euro. Una spesa esorbitante, e molto spesso impossibile da affrontare, tanto più che oggi le banche sono sempre più restie a concedere finanziamenti ai giovani. In questo contesto, si inserisce la norma contenuta nella legge di stabilità che prevede la vendita dei terreni demaniali, con diritto di prelazione per gli agricoltori con meno di 40 anni. Secondo l’Agia-Cia, si tratta di un provvedimento che va nella giusta direzione e che può dare risposte importanti a chi vuole intraprendere o continuare l’attività agricola. Ma è essenziale che il Mipaaf, di concerto con il ministero dell’Economia, proceda in tempi rapidi ai previsti decreti attuativi e poi che la vendita sia davvero a prezzi agevolati e con condizioni più favorevoli per gli “under 40”. Serve quindi una procedura veloce e soprattutto trasparente, per favorire realmente i giovani evitando che nelle vendite s’inseriscano speculatori.
Anche a livello Ue qualcosa si sta muovendo a sostegno degli agricoltori “junior”. Nella riforma della Pac post 2013 “è positivo che sia stata accolta la proposta lanciata dai nostri imprenditori dell’Agia, poi fatta propria dal Ceja, di assegnare ai giovani un pagamento diretto aggiuntivo fino al 2 per cento del budget nazionale -ha affermato il presidente della Cia, Giuseppe Politi-. C’è bisogno, però, di alcune correzioni per garantire effettivamente un futuro di certezze agli agricoltori e in particolare a chi ha meno di 40 anni”. Secondo Politi, per esempio, “andrebbe sicuramente aumentato il plafond a disposizione dei giovani”. Inoltre “ci sembrano assolutamente poco comprensibili i limiti relativi alla superficie, soprattutto per gli Stati come l’Italia che hanno una piccola maglia poderale. Il limite previsto per il nostro Paese, che secondo la proposta Pac non potrebbe superare i 25 ettari, rischia di diventare una barriera competitiva per i nostri giovani a fronte di Paesi che hanno medie poderali ben più significative come Francia, Inghilterra, Germania e Repubblica ceca. Per questo, secondo noi questo limite massimo di superficie dovrebbe essere annullato o reso unico a livello europeo”. Ecco perché, ha osservato il presidente della Cia, “ora c’è bisogno di una posizione forte e autorevole di tutto il sistema Paese al tavolo delle trattative Ue: c’è l’esigenza di un confronto responsabile sulla nuova Pac, proprio per garantire un futuro di equità e sviluppo all’agricoltura europea. E quindi alle nuove generazioni”. Perché “la realtà dei giovani agricoltori è ricca di potenzialità, ma deve essere valorizzata da misure concrete. E noi -ha concluso Politi- vogliamo poter contribuire a tutelare il loro futuro in Italia e in Europa”.