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Organizzazioni Agricole

Latte di pecora, la Coldiretti è pronta a scendere in piazza

Il problema del prezzo di acquisto del latte non interessa solo i produttori di latte bovino, ma anche un altro comparto, quello dei pastori che si sono visti abbassare, senza preavviso e possibilità di replica, il prezzo di vendita. Dal 1 aprile il latte ovino, generalmente destinato alla trasformazione, ha subìto un flessione che va dai 5 ai 10 centesimi al litro, un importo non così irrilevante per una categoria particolarmente vessata e che inizia a risentirne in maniera preoccupante.


“Ci appare come una vera ingiustizia - dichiarano Vitangelo Tizzano e David Granieri, presidente e direttore di Coldiretti Roma - anche perché i prezzi al cliente dei formaggi sono rimasti stabili. I trasformatori hanno deciso di ridurre unilateralmente. L’attuale importo oscilla tra gli 0,70 e gli 0,75 centesimi, mentre al produttore viene a costare ben 0,80 centesimi al litro. Chiediamo che si possa almeno ragionare partendo da quest’ultimo e da un minimo guadagno per l’allevatore”.
Non dimentichiamo che i pastori, tra l’altro, sono costretti a sobbarcarsi salatissimi pedaggi, di solito con i comuni, per l’affitto dei terreni, in quanto la pecora è l’unico animale che ha bisogno di pascolare e di nutrirsi con erba sempre verde.


In questi giorni Coldiretti Roma ha convocato urgentemente un tavolo tecnico, che ha coinvolto allevatori e i funzionari Coldiretti esperti in materia, nella settimana in corso partirà la richiesta di un incontro con il neo-assessore regionale all’agricoltura, al quale si chiede un intervento a sostegno di questa nuova trattativa. Le proposte individuate sono legate, non solo alla pretesa di un adeguamento del costo di acquisto del prodotto partendo dai costi di produzione, ma alla necessità di un rilancio dell’intera filiera, rilancio che vuol dire anche valorizzazione della qualità e della territorialità, anche attraverso la possibilità di vendere prodotti a marchio laziale Igp e Dop.

I problemi per il comparto sono eterogenei, un comparto peraltro importante per l’economia italiana e laziale. L’Italia è infatti il secondo produttore di latte ovino ‘al mondo’ (dopo La Cina) e di formaggio (dopo la Grecia), andamento peraltro in crescita negli ultimi 20 anni. Lazio e Sardegna sono in pole-position nella produzione, in ambito regionale invece, al primo posto, c’è il viterbese, la campagna romana è al secondo, seguono Rieti, Frosinone e Latina. Dati non proprio di dominio pubblico, così come ancora meno noto è il fatto che il “pecorino romano” sia prodotto, nella sua quasi totalità, nientemeno che in Sardegna!
“Fatto quest’ultimo che ha non poche ripercussioni in quanto ‘il prezzo di acquisto’ viene fissato proprio da questa regione, risente cioè delle fluttuazioni che avvengono lì, per poi essere fissato dai trasformatori, in seconda battuta”, spiega Tizzano.
In qualche maniera le aziende laziali più evolute hanno adottato alcune tecniche di difesa per difendersi da questa monopolizzazione del prezzo.
Nel Nord del viterbese, infatti, dove esistono imprese più consistenti e all’avanguardia, si è applicata la cosiddetta ‘destagionalizzazione’. In poche parole, grazie al clima, decisamente più umido e all’esistenza di impianti di irrigazione, si sono anticipati i parti in un’epoca in cui i sardi non producono, con la finalità di riuscire ad ottenere prezzi migliori di vendita. Sempre nel Nord del Lazio (dove peraltro la maggioranza dei pastori è sempre sarda) l’altra potenzialità sfruttata è la vicinanza con la Toscana, in questa regione manca il latte fresco dunque viene rifornita a prezzi ovviamente superiori.
Insomma, le aziende più competitive riescono a difendersi, ma le difficoltà permangono forti in una realtà molto frammentata e caratterizzata da piccole realtà produttive. La quasi totalità delle aziende laziali (e romane) presenta infatti un numero di capi compresi tra 1 e 99, e dispone di una superficie compresa tra i 2 e i 5 ettari.


Lazio, i numeri del settore

Da dati recenti il 41 per cento dei capi si trova in provincia di Viterbo, segue Roma con il 31 per cento, Rieti con il 13, Frosinone con l’11 e Latina con il 5.
Negli ultimi 12 mesi nel Lazio risultano aperte 8.782 aziende, di cui 7121 di ovini, 835 di ovini e caprini, 826 di soli caprini. A Roma se ne contano 2510 totali, contro 2038 di soli ovini, 289 di caprini e le 183 di ovi/caprini.
Il numero di capi nella regione ammonta invece a 760.903 capi totali, di cui 715.397 di ovini, 45.506 di caprini, mentre a Roma il totale è di 251.734 capi, di cui 242.192 di ovini e 9.542 di caprini.
La maggioranza delle imprese presenta un numero di capi compreso tra 1 e 99 mentre la maggioranza di animali (45% ) è detenuto da aziende che posseggono un numero di ovini compreso tra 100 e 499.
Negli ultimi anni, a fronte di un aumento nel numero dei capi, si sarebbe però riscontrata una flessione nel numero di aziende. Interessanti al riguardo anche i dati relativi agli ultimi 12 mesi: su un totale di 8.287 allevamenti aperti, nel Lazio ne risultano chiusi 3181, a Roma, su 2308, hanno chiuso invece i battenti 1039. Di contro si riscontra, in analogia ad altre realtà agricole, a fronte di una diminuzione della aziende un aumento del numero dei capi, da parte di entità produttive più consistenti. Un risultato che, lega alle difficoltà sopra menzionate, anche la necessità di una modernizzazione del settore

in data:06/07/2010

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