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Olio Dop, il tallone di achille resta la commercializzazione

In venti anni le Denominazioni di origine rappresentano solo l’1 del mercato. Gli operatori propongono di individuare una nuova politica dei consumi per il settore

Roma - Alcune volte i primati non bastano a far decollare un settore. L’Italia dell’eccellenza olearia Dop fatica ancora a imporsi in un mercato preso d’assalto dalle politiche commerciali basato sul basso costo e sui volumi che non fanno altro che danneggiare la vendita del prodotto di qualità. E’ dunque necessario, secondo gli addetti ai lavori presenti oggi a Roma alla presentazione del rapporto Unaprol-Federdop,  progettare una nuova politica dei consumi visto che in venti anni, dall'approvazione del Regolamento comunitario (Ce) 2081/92, le Denominazioni di origine rappresentano solo l’1 del mercato.

Troppo poco per risolvere i problemi distributivi dei produttori che hanno puntato e investito in questi anni sulla qualità e sulla differenziazione commerciale. I problemi quindi rimangono tutti sul tappeto nonostante l’Italia indossi, nell’Unione europea, la maglia rosa delle Dop dell’olio extra vergine di oliva. La consapevolezza di avere tra l'altro questo grande potenziale della qualità (il 38,5% di tutti gli oli riconosciuti a livello comunitario come oli extra vergini di oliva a denominazione di origine protetta sono italiani) con 40 riconoscimenti assegnati al Belpaese (39 Dop, una Igp su 104 in tutta l’Unione europea), sembra, per certi versi, essere dunque solo una magra consolazione se non si corre ai ripari. E neanche l’imminente l’arrivo nel club delle Dop delle denominazioni Seggiano, Terre Aurunche e Vulture non toglierebbe i sassolini dalle scarpe del comparto.

L’obiettivo per gli operatori sarebbe dunque quella di alzare l’asticella commerciale e di attuare una nuova politica del consumo. In particolare la ricetta proposta è quella di creare un sistema di regole che permettano una leale competizione e che metta fine a una logica commerciale nella quale si è più visibili sugli scaffali solo se se si è più forti economicamente.

Dal punto di vista strettamente dei numeri oggi il settore, secondo l’ultimo rapporto sulle Dop realizzato da Unaprol – Consorzio Olivicolo Italiano con la collaborazione di Federdop – Olio, la federazione italiana che raggruppa l’81% di tutti i consorzi di tutela delle DOP nel settore dell’olio di oliva, non raggiunge alti volumi di prodotto certificato che nel 2009 (ultimi dati disponibili), si è attestato su 10.300 tonnellate segnando un aumento del 22% rispetto all’anno precedente. La struttura del comparto, sempre secondo il rapporto, realizzato nell’ambito dell’attività di monitoraggio previste dal Reg. CE 867/08, registra circa 19 mila aziende produttrici di oli Dop. 93 mila circa gli ettari coltivati e oltre 1.500 le aziende di trasformazione. La maggiore produzione di oli Dop proviene dalla Toscana con un + 57% di prodotto rispetto al 2008, seguita dalla Puglia che registra un aumento del 4% e dalla Sicilia che invece registra un calo del 3%.

Per quanto riguarda produzione e flussi la fotografia del comparto registra che il 47% dell’olio sfuso a Dop è stato conferito a cooperative e associazioni. Il 19% è stato venduto a grossisti e intermediari. Il 14,8% all’industria e il 13, 5% ai frantoiani. Il 30% del prodotto viene venduto direttamente al consumatore. Una quota del 17% viene ceduta alla ristorazione. Il 12% prende la strada di agriturismi e negozi specializzati, mentre il 13% finisce al mercato dell’ingrosso.
L’export di oli Dop e Igp rappresenta in termini monetari il 4% del totale dell’export di tutti i prodotti a denominazione di origine; è destinato per quasi il 60% a Paesi extra UE, ma rappresenta appena l’1% di tutto il consumo di oli extra vergini di oliva a livello nazionale. Gli oli Dop vengono maggiormente valorizzati al Nord del Paese e i prezzi dello sfuso risultano superiori in Italia centrale e Nord-orientale, rispetto a quelli dell’Italia meridionale. Se ceduto direttamente al consumatore il prodotto viene mediamente scambiato a 9,75 €/kg mentre il prezzo più alto riscontrato nella Gdo è in Trentino con 13 €/kg.

Soluzioni al problema commerciale sono state avanzate dal presidente dell’Unaprol Massimo Gargano. “Dall’indagine – ha detto il presidente del Consorzio olivicolo italiano - emerge che il comparto degli oli Dop continua ad essere concentrato su poche denominazioni”. “Nel nuovo piano olivicolo nazionale e nell’uso intelligente delle risorse ex Agensud, vanno individuate – ha aggiunto - nuove strategie per supportare un settore che primo tra tutti ha percorso la strada della differenziazione commerciale utilizzando la leva del territorio come elemento di distinzione sullo scaffale della GDO che oggi assorbe il 28% della produzione a marchio DOP e IGP”.

“In questo caso la Dop gioca un ruolo come elemento di una strategia di promozione collettiva più ampia, - ha detto invece Silvano Ferri presidente di Federdop che aggiunge abbiamo bisogno di un'unica strategia di promozione e non di contrapposizioni tra consorzi altrimenti i costi saranno più elevati dei benefici perché avremo bruciato ricchezza e perso opportunità”.
Proprio nella GDO si riscontrano segnali di crescita. I volumi venduti nel 2010 son aumentati del 9% rispetto a quelli del 2009, passando da un livello di 2.536.546 litri a 2.760.882 litri.
Nel complesso dal rapporto emerge che la realtà degli oli Dop rappresenta una delle risposte commerciali in un contesto di mercato che vede i consumatori premiare con le loro scelte di acquisto prodotti che raccontano la storia dei territori di produzione ed offrono garanzie sul piano della salubrità e tracciabilità di prodotti stessi.

in data:23/06/2011

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