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Agricoltura e industria alimentare: un valore aggiunto prodotto vicino ai 59 miliardi
Emerge dal focus realizzato da UniCredit, Slow Food e Nomisma presentato nel corso Forum delle Economie sulla filiera Agrifood
Roma- La filiera agroalimentare italiana rappresenta un asset strategico per il nostro Paese anche per la sua elevata rilevanza socioeconomica: considerando solo la fase produttiva (agricoltura e industria alimentare), il valore aggiunto prodotto si avvicina ai 59 miliardi di euro, posizionando l’Italia al terzo posto in Europa dopo Francia (78 miliardi) e Germania (61 miliardi). Tuttavia, questo dato aggregato- spiega una nota- nasconde le “differenti” velocità alle quali corrono le singole filiere agroalimentari e inoltre questo “patrimonio” non è risultato immune dai colpi inferti dalla pandemia da Covid-19. Sono questi alcuni dati emersi dall’approfondimento realizzato da Nomisma sul settore agroalimentare italiano e presentati da Denis Pantini, Responsabile Agricoltura e Industria Alimentare di Nomisma, durante il Forum delle Economie sulla filiera Agrifood promosso da UniCredit, Slow Food e Nomisma.
Secondo i dati Nomisma il settore agroalimentare ha accusato i colpi inferti dalla pandemia da Covid-19. Sebbene nei primi mesi dell’anno (e quindi anche durante il lockdown) le vendite al dettaglio sul mercato nazionale nonché l’export di prodotti alimentari siano cresciuti a fronte di un settore manifatturiero in forte crisi, a partire dall’estate anche le performances del settore agroalimentare sono passate in territorio negativo.
La chiusura della ristorazione e di tutto il fuori casa (che in Italia incide per circa un terzo sul valore dei consumi alimentari ma in paesi come gli Stati Uniti arriva a pesare fino al 45%) e il crollo degli arrivi di turisti dall’estero (nel 2019, la spesa presso i ristoranti italiani dei turisti stranieri era stata di 10 miliardi di euro) rappresentano i principali “colpevoli” di questa riduzione delle performance per il settore e, in particolare, di alcuni comparti. Nel primo trimestre di quest’anno, il calo delle vendite alimentari in Italia nel canale on-trade è risultato più basso del 23% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente; nel secondo trimestre (complice il lockdown) il calo è stato del 64%.
Tra chi è stato maggiormente colpito dalla crisi figura il vino, una delle nostre eccellenze del Made in Italy, che nei primi sette mesi del 2020 ha visto calare l’export a valori di oltre il 3%. E all’interno del settore, i vini a denominazione (DOP) sono quelli ad aver sofferto di più (si pensi ai rossi Dop della Toscana che hanno perso quasi il 7% di valore all’export o a quelli veneti, -6%). Al contrario, ci sono stati altri prodotti che proprio grazie al lockdown hanno registrato aumenti nell’export a doppia cifra. È il caso della pasta, cresciuta del 23% o della passata di pomodoro (+10%).
Le sfide che il Covid-19 ci pone sono tante. Dalla forte riduzione del Pil prevista per l’anno in corso che porterà a minori redditi per le famiglie, alle evoluzioni nelle modalità distributive e nell’approccio al consumo, dove lo sviluppo dell’e-commerce e la diffusione della digitalizzazione ne rappresentano forse l’emblema. Come rilevato da Nielsen, se nei 12 mesi terminanti a febbraio 2020 le vendite on-line di prodotti grocery erano aumentate del 63% rispetto all’anno precedente, nel periodo del lockdown (febbraio-maggio 2020) e nei 4 mesi successivi (maggio-agosto), la variazione è stata rispettivamente del +185% e +172%, a dimostrazione di come lo sviluppo dell’e-commerce si sia ormai consolidato a prescindere dal Coronavirus.
Ma la pandemia ci lascia in eredità altri mutamenti, i cui effetti si consolideranno anche nei prossimi anni. La maggior attenzione da parte dei consumatori all’italianità delle produzioni porterà ad un rafforzamento delle relazioni tra gli operatori lungo la filiera, gli obiettivi di sostenibilità ricercati dai consumatori ma anche imposti dalle politiche comunitarie (Green Deal) favoriranno gli investimenti green nelle imprese. Senza dimenticare le altre sfide di mercato che attendono le nostre aziende agroalimentari: dalla Brexit all’evoluzione dei rapporti commerciali con gli Stati Uniti (a seguito dell’esito delle prossime elezioni presidenziali) fino alla necessità di una maggior diversificazione dei mercati di sbocco, i cui limiti sono divenuti evidenti con la pandemia, e per i quali il grado di concentrazione sull’export alimentare italiano risulta pari al 52%, contro il 47% di quello francese o il 44% di quello tedesco.