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Azienda italiana chiede il deposito del marchio CoronaVirus Wines
Da una ricerca informale a livello internazionale sulle banche dati pubbliche, sono emersi più di 60 marchi depositati da febbraio rivendicanti la dicitura coronavirus, Covid 19 o simili. In Italia risultano almeno due casi: il deposito denominativo, ovvero solo del nome ‘Coronavirus’ effettuato da un imprenditore cinese e il recente deposito figurativo (23 marzo 2020) raffigurante il simbolo della corona con all’interno la scritta virus effettuato da un studio di architettura. Ma soprattutto singolare è la richiesta di deposito per il un marchio Coronavirus Wines, sempre proveniente dall’Italia.
Al di là del merito e dell’opportunità la domanda è: ciò è lecito? “Un marchio per essere registrato validamente, deve essere in possesso dei requisiti della novità, capacità distintiva e liceità – risponde Rosa Mosca esperta di proprietà intellettuale di Rödl & Partner, colosso della consulenza legale internazionale presente in 50 paesi tra cui l’Italia - Nel caso di specie, non si ritiene che il marchio ‘Coronavirus’ sia nuovo e distintivo, rappresentando esso il nome scientifico di una patologia ed essendo diventato in tempi rapidissimo una dicitura ormai di uso comune.”
“Inoltre – si interroga l’esperto di Rödl & Partner - tra tutti i soggetti che hanno depositato tale marchio chi dovrebbe essere il titolare del medesimo ed in base a quale ragione giuridica? Quale sarebbe la discriminante per stabilire se un soggetto, seppur con le migliori intenzioni, possa impedire il legittimo utilizzo di una dicitura ormai di uso comune ad un altro soggetto?”