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Dal Parmesan all’asiago, dal provolone alla mozzarella: negli Usa oltre 200 miliardi di chili di formaggi di tipo “italiano”
Negli Stati Uniti il mercato dei “taroccati” ottenuti soprattutto in Wisconsin, California e nello Stato di New York vale – stima la Coldiretti – 5 miliardi di euro e rappresenta oltre l’80 per cento delle vendite tricolori
Roma- Negli Stati Uniti sono stati prodotti nel 2013 oltre 200 miliardi di chili di formaggi di tipo “italiano” dal Parmesan all’Asiago, dal Provolone alla Mozzarella, fino al Gorgonzola che nulla hanno a che fare con il tessuto produttivo Made in Italy. A denunciare il problema di italian sounding è la Coldiretti in riferimento all’esigenza di un accordo per tutelare le denominazioni di origine riconosciute dall’Unione Europea negli Sati Uniti, dopo che è in fase avanzata quello con il Canada.
In Usa il mercato dei formaggi italiani “taroccati” ottenuti soprattutto in Wisconsin, California e nello Stato di New York vale – stima la Coldiretti – vale 5 miliardi di euro e rappresenta oltre l’80 per cento delle vendite di formaggi “italiani”: in altre parole in 8 casi su 10 i consumatori statunitensi acquistano prodotti “italiani” fatti pero’ interamente in Usa. Si tratta di un grave inganno perché – sottolinea la Coldiretti - i prodotti originali Made in Italy sono profondamente diversi dalle imitazioni che non devono rispettare i rigidi disciplinari di produzione dell’Unione Europea che determinano l’area di allevamento delle mucche, di trasformazione del latte, di stagionatura dei formaggi, ma anche l’alimentazione del bestiame e tutti gli aspetti rilevanti per garantire uno standard qualitativo unico che viene sottoposto a rigidi controlli. “La presunzione di continuare a chiamare con lo stesso nome alimenti del tutto diversi è inaccettabile”, ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che “l’Unione Europea ha il dovere di difendere prodotti che sono l’espressione di una identità territoriale non riproducibile altrove. E’ come se si pretendesse di chiamare Coca Cola qualsiasi bevanda di colore scuro con le bollicine con l’aggravante che in questo caso non si difendono i diritti di una impresa ma quelli della storia di una intera comunità”.