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E' l'export il driver di sviluppo del vino tricolore
E’quanto emerge dal nuovo “Mps Wine Index” elaborato dalla Research di Banca Monte dei Paschi di Siena. Nonostante il rischio di un sorpasso da parte della Spagna come primo fornitore mondiale le produzioni italiane non arrestano la crescita in valore
Roma- Potrebbe continuare a crescere anche nei prossimi mesi il prezzo medio del vino italiano, confermando l’incremento delle quotazioni rilevato nel 2012 e la tendenza ad una maggiore ricerca della qualità del vino da esportare. Lo rivela il nuovo “Mps Wine Index” elaborato dalla Research di Banca Monte dei Paschi di Siena e presentato al Terzo Forum Montepaschi sul vino italiano che si è tenuto oggi a Siena e che ha fatto il punto su quelle che saranno le prospettive delle aziende italiane del comparto vitivinicolo. La buona salute del settore, secondo l’Osservatorio di Banca MPS, è confermata anche dal clima di fiducia e dalle aspettative della maggioranza delle aziende produttrici (il 67% del campione) le quali si attendono un aumento del fatturato per il 2013, con prospettive di crescita attorno al 5% nella maggior parte dei casi; un segno positivo che dovrebbe realizzarsi nonostante il possibile calo dei volumi. Già nel 2012, secondo le stime Ismea – Uiv, la produzione nazionale potrebbe attestarsi su quantitativi inferiori ai 40 milioni di ettolitri segnando un minimo storico.
L’analisi. La ricerca realizzata dalla Research di BMps e da Ismea fotografa l’andamento del mercato mondiale del vino, sfuso e imbottigliato, per volume e valore, rilevando come per l’Italia, a fronte della riduzione dei consumi interni, l’export sia il principale driver di sviluppo. L’Italia produce il doppio della domanda interna e il consumo pro capite cala di un litro all’anno (ora si attesta fra i 35 e i 37 litri, negli anni Settanta arrivava a 100). La ricerca mostra come solo il 14% delle aziende che non esportano continua a crescere. Il dato invece quasi triplica (43%) per le imprese che operano sui mercati internazionali. Le aziende italiane che esportano (sono il 70% del campione) raccolgono mediamente fuori dai confini nazionali circa il 37% del proprio fatturato.
I mercati di oggi. Nonostante l’Italia rischi il sorpasso da parte della Spagna come primo fornitore mondiale (in volume), grazie soprattutto agli “sfusi”, non sembra arrestarsi la crescita in valore del vino italiano che nel 2011 era di 4,4 miliardi di euro e che nei primi sette mesi del 2012 è cresciuto dell’8% su base annua. È proprio la crescita in valore il dato più attendibile per valutare la capacità di penetrazione dei nostri vini di pregio (il dato il volume risente dell’incidenza degli sfusi cresciuta fino al 40% del totale). I dati sui Paesi importatori nel mondo mostrano come la Cina, pur restando un nuovo mercato, si sia avviata a raggiungere volumi e valori che la mettono alla pari con i principali mercati consolidati mondiali. La Cina sale al quinto posto assoluto in valore con 1.037 milioni di euro facendo segnare un +71% e superando in un solo anno Giappone, Belgio, Svizzera e Paesi Bassi. A riprova delle enormi potenzialità di questo Paese vi è anche la forbice fra crescita di importazioni di vino in valore e in volume. Le quantità crescono “solo” del 27,7% (sesto mercato al mondo) evidenziando una maggiore attenzione per i vini di pregio. Una tendenza che pare consolidarsi nei nuovi mercati visto che anche la Russia fa registrare una forbice netta: cresce in valore (+14,6%) e cala in volume (-6%).
I mercati di domani. Le maggiori potenzialità si riscontrano nei nuovi mercati dell’Europa dell’Est e in varie zone del mondo fuori dal nostro continente. Ismea ha fatto un’analisi dei dati derivanti da una specifica banca dati sul commercio con l’estero, Gti, proponendo insiemi di Paesi potenzialmente «appetibili» per l’export. Un gruppo importante è quello rappresentato dai Paesi dell’Est europeo, comunitari e non, che negli ultimi cinque anni hanno incrementato notevolmente la propria domanda (Bulgaria, Slovacchia, Ungheria, Estonia, Lituania, Lettonia). A questi si affiancano alcuni Paesi sudamericani, come Brasile, Argentina e Messico, o quelli dell’Estremo Oriente quali India, Corea del Sud e Thailandia. Certo i volumi sono ancora piuttosto limitati e solo in pochi casi superano il milione di ettolitri importati, ma i tassi di crescita sono talvolta travolgenti.
L’Italia nei nuovi mercati dell’Europa dell’Est. Siamo leader in Bulgaria (58% davanti a Spagna e Francia), Slovacchia (36% davanti a Ungheria e Rep. Ceca), Ungheria (88% davanti a Germania e Spagna), secondi in Estonia (14% dietro alla Spagna, davanti alla Francia), Lituania (27% dietro la Francia, prima della Spagna), Romania (15% dietro la Spagna e davanti alla Bulgaria), terzi in Lettonia (20% dietro Francia e Spagna).
L’Italia nei nuovi mercati extracontinentali. Siamo primi in Thailandia (24% davanti ad Australia e Francia), terzi in Brasile (17% dietro Cile e Argentina), Messico (dietro Spagna e Cile), Corea del Sud (dietro Cile e Spagna), India (dietro Francia e Australia), Australia (dietro Nuova Zelanda e Francia), Argentina (1% dietro a Cile con 87%, Spagna e a pari quota con la Francia).