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Etichettatura, il decreto del Mipaaf fa storcere il naso a UnionAlimentari
Per l'Unione Nazionale della Piccola Media Industria alimentare il provvedimento pone un problema di rispetto delle regole per le aziende comunitarie che commercializzano in Italia
Roma- Il decreto su una maggiore trasparenza dei prodotti alimentari non convince proprio tutti. Il provvedimento, messo in cantiere dal ministero per le Politiche agricole, alimentari (Mipaaf) e mirato a garantire maggiormente i consumatori inserendo una dimensione maggiore e un posizionamento più centrale per l'indicazione di origine sulle etichette degli alimenti, trova infatti le prime contrarietà degli operatori del settore che denunciano un problema di rispetto delle nuove regole per i prodotti fabbricati dalle aziende comunitarie che commercializzano in Italia che non possono essere obbligate a seguire i dettami del decreto, con una conseguente riduzione di competitività per le aziende del nostro paese. A porre il problema tra le prime organizzazioni è UnionAlimentari, unione nazionale della Piccola Media industria alimentare.
Pur condividendo l’intento generale dell’iniziativa, quello di informare al meglio il consumatore, UnionAlimentari - si legge in una nota - è perplessa rispetto alla volontà di legiferare a livello nazionale su argomenti che sono oggetto di discussione e disposizioni comunitarie. Si dà atto che il nuovo decreto coinvolge solo i prodotti alimentari per i quali è già prevista l’indicazione di origine obbligatoria; inoltre è apprezzabile la scelta di notificare il Decreto alla Comunità Europea, ai sensi della Direttiva 98/34/CE. Tale modalità può essere infatti considerata un primo passo di apertura in un’ottica comunitaria e non solo nazionale.
Tuttavia - viene meglio precisato - rimangono forti dubbi nei confronti dell’iniziativa ministeriale, in quanto la normativa si discosta, sia per quanto riguarda le altezze minime, sia per il posizionamento dell’indicazione, dalla bozza di Regolamento Comunitario, in discussione da molti mesi a Bruxelles, che dovrebbe ridefinire in ambito comunitario e quindi in tutti gli stati membri la disciplina relativa all’etichettatura.
Agire a livello nazionale significa - viene detto ancora - introdurre disposizioni che interessano solamente le aziende italiane ma non quelle comunitarie che commercializzano in Italia e che non possono essere obbligate a seguire i dettami del decreto, con una conseguente riduzione di competitività per le aziende del nostro paese.
Anche per i consumatori, se non viene a crearsi un’uniformità che coinvolga tutte le aziende europee, resta il problema di non avere un riferimento chiaro e coerente che soddisfi l’esigenza di informazione e che sia univoco per tutti i prodotti a scaffale, quantomeno della stessa categoria merceologica.
In particolare, come spiega il Presidente di UnionAlimentari, Renato Bonaglia, “legiferare a livello nazionale in materia di etichettatura diviene controproducente per le aziende italiane, che devono rispettare normative che i concorrenti europei, operanti in Italia, non sono obbligati a seguire. Per giungere all’obiettivo di tutela e di informazione del consumatore, enunciato nel preambolo del decreto e assolutamente condivisibile, occorre agire in ambito della normativa europea. Altre soluzioni rischiano di divenire un ostacolo alla libera concorrenza e un handicap per le aziende italiane. Lo sforzo delle istituzioni italiane dovrebbe quindi concentrarsi in ambito europeo, al fine di condizionare maggiormente la normativa comunitaria, in modo che possa divenire uno strumento per facilitare lo scambio intracomunitario delle merci, contrastando fermamente le iniziative legislative dei singoli stati che si discostano dalla normativa europea”.
Al presidente di UnionAlimentari fa eco anche Giuseppe Durazzo, esperto di diritto alimentare a livello nazionale e comunitario, che afferma: “In via generale, pur apprezzando lo spirito che anima questo progetto di norma, esso non valorizza la qualità della trasformazione e della produzione alimentare nazionale, ma attraverso un sistema piuttosto formale, soltanto quello della provenienza agricola di taluni alimenti, favorendo, oltretutto il trasformato d'importazione.
La nuova disciplina di etichettatura rischia, inoltre di cadere a poca distanza temporale da quella imposta dal prossimo Regolamento comunitario sull'informazione dei consumatori. Quindi, sarebbe opportuno accorpare gli adempimenti, evitando costi alle imprese, che diventano fatalmente costi per il consumatore”.
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