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Lo spread mette sotto schiaffo l’extravergine
Il differenziale – segnala Unaprol - tra il prezzo all'origine del prodotto e quello di vendita operato dalla grande distribuzione organizzata evidenzia il conflitto esistente tra la trasparenza e la mcdonaldizzazione del settore
Roma - C'è uno spread anche per l'olio extra vergine di oliva. E' il differenziale tra il prezzo all'origine del prodotto e quello di vendita operato dalla grande distribuzione organizzata. Nel Lazio, nel periodo intercorso tra giugno del 2011 e giugno del 2012, sono stati venduti dalla gdo 15 milioni di litri circa di olio extra vergine per un controvalore di 53 milioni di euro. Ma questo valore poteva essere più alto, e raggiungere gli 83 milioni di euro, se il prodotto fosse stato acquistato all'origine a 5.5 euro il litro, tanto quanto viene quotato attualmente sulla piazza di Rieti un buon extra vergine tracciato e di alta qualità italiana.
E' l'eterno conflitto che attraversa il settore dell'olio di oliva. Da una parte chi vuole trasparenza e offre in cambio percorsi di tracciabilità e di alta qualità. Dall'altra chi ha mcdonaldizzato il settore seguendo la logica del “non fa male quindi è buono” a prezzi stracciati.
“Così si brucia ricchezza e si diventa tutti più poveri”. Massimo Gargano presidente di Unaprol e di Coldiretti Lazio torna a chiedere che l'articolato normativo del disegno di legge 3211 in discussione al Senato che reca norme per la trasparenza e la qualità della filiera degli oli di oliva vergini prosegua il suo iter legislativo e che venga approvato prima dell'avvio della nuova campagna olearia.
I dati sono emersi nel corso dell'iniziativa promossa da Coldiretti Lazio e Unaprol su “una legge trasparente aiuta a scegliere meglio”.
Il sistema olivicolo – oleario italiano una grande biodiversità con una propensione per la qualità che ne hanno fatto un unicum nel panorama mondiale. Per questo va difeso con norme che assicurino trasparenza del mercato e correttezza nei confronti dei consumatori.
“Nella competizione globale – ha riferito Gargano – le imprese olivicole italiane hanno bisogno di recuperare come elemento di competitività il legame con il territorio e l’origine certa del prodotto. Un binomio indissolubile – ha aggiunto - che non può essere confuso sullo scaffale con la logica del discount”.
L’identità dell’olio italiano è sotto schiaffo. Le frodi e le sofisticazioni mettono a rischio un patrimonio ambientale con oltre 250 milioni di piante sul territorio nazionale che garantisce un impiego di manodopera per circa 50 milioni di giornate lavorative all’anno e un fatturato di oltre 2 miliardi di euro.
La produzione nazionale si concentra in Puglia (35 per cento), Calabria (33 per cento), Sicilia (8 per cento), Campania (6 per cento), Abruzzo (4 per cento), Lazio (4 per cento), Toscana (3 per cento) e Umbria (2 per cento). Sono 43 gli oli italiani a denominazione di origine riconosciuti dall’Unione Europea.
In Italia, sempre nel periodo giugno 2011, giugno 2012 sono stati venduti (dati IRI_Infoscan) 160 milioni di litri di extra vergine per un corrispondente valore di 610 milioni di euro con un incremento del 2% in volume e dell'1% in valore rispetto allo stesso periodo terminato nel 2011. Il prezzo dell'extra vergine si è attestato su una media nazionale di 3,80 € al litro, ma sullo scaffale italiano sono perennemente in offerta sedicenti oli extra vergine tra 1,99 e 2,50 € il litro. Un dato che non si giustifica con un prezzo dell'olio extra vergine che attualmente, sulla piazza di Bari, viene scambiato a 2,40€ il litro.
“Per questo motivo – ha concluso Gargano – le norme contenute nel disegno di legge danno maggiori garanzie perché creano una barriera di anticorpi a favore delle imprese olivicole e offrono alle aziende serie di questo settore l’opportunità di alimentare la catena del valore intorno al prodotto simbolo del made in Italy nel mondo”.