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Non solo contadini e trattoristi. Il lavoro agroalimentare cambia strategia
Il primario, con una crescita occupazionale in crescita grazie al driver dell'innovazione sostenibile, è sempre più in cerca di figure professionali tecniche e qualificate nelle attività commerciali ed artigiane
Roma- Da cenerentola a settore traino dell’economia. La condizione dell’agricoltura italiana è di buona salute. Tra i segnali che dimostrano un trend di comparto positivo è dimostrato dalla crescita occupazionale del settore certificata da Istat (sedicimila nuovi occupati nei primi 6 mesi del 2015, per una crescita del 2%, con un incremento occupazionale di un +1,6% sul 2014) e dalla recente indagine realizzata dalla Fondazione Obiettivo Lavoro in collaborazione con il Crisp, centro di ricerca interuniversitario per i servizi di pubblica utilità e Fondazione per la sussidarietà. Ma la vera novità dell’agricoltura, al di la degli incoraggianti numeri economici, è il mutare della domanda di lavoro che sempre di più va incontro al bisogno di innovazione che il settore agroalimentare sta dimostrando. Stando infatti al 4° Rapporto sul mercato del lavoro realizzato dalla Fondazione Obiettivo Lavoro e alle parole del presidente di Legacoop e consigliere della Fondazione Obiettivo Lavoro, Mauro Lusetti in occasione delle presentazione dello studio a Roma le figure cercate sono informatici, personale in grado i gestire eventi, di uomini e donne del marketing, di export manager e non più solo contadini e trattoristi.
Venendo dunque ai dati della ricerca si scopre che complessivamente su 26 mila annunci web rivolti alla filiera agroalimentare, dal febbraio 2013 al giugno 2015, l’aumento di offerte rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente è stato pari al 15%. In particolare, la quota maggiore di offerte di lavoro, pari al 60%, appartiene al settore della ristorazione, segue con il 21% il settore del commercio, con il 16% l’industria alimentare e delle bevande ed infine con quota del 3% il settore agricolo. Nel comparto nello specifico emerge, pur nella varietà dei diversi settori, la tendenza prevalente- si spiega- a ricercare professioni tecniche e qualificate nelle attività commerciali ed artigiane. Si evidenzia inoltre che negli annunci di lavoro, oltre alle competenze professionali specifiche, si richiedono soft skill (legate a qualità personali più che a conoscenze e competenze) e la conoscenza delle lingue straniere.
Insomma il quadro sembra molto confortante a fronte del fatto che le imprese della filiera agroalimentare italiana nel periodo 2008-2014 hanno avuto una perdita di occupati pari a -97 mila unità con un valore percentuale pari a -2% contro un calo di occupati in Italia di circa un milione (-4%). In particolare, conti alla mano, l’agricoltura, e specialmente il comparto legato alle produzioni vegetali, ha perso circa 55mila occupati (-5.8%), mentre in controtendenza gli altri due comparti (Silvicolura e pesca) che hanno addirittura aumentato il numero di occupati. Rispetto agli altri comparti della filiera agroalimentare, tra luci ed ombre il settore del commercio in special modo il commercio all’ingrosso, che ha bruciato dal 2008 più di 65mila unità nei recenti anni, mentre il settore delle industrie alimentari sembra aver limitato i danni (-15mila occupati). Un trend completamente diverso ha riguardato il settore dei servizi di alloggio e di ristorazione, cresciuto di 70mila occupati (+5.3%) anche durante il periodo più recente. Volendo dunque tirare le somme emerge che il comparto dell’agroalimentare italiano nel suo insieme rappresenta al 2014 il 5,5% degli occupati (due terzi nell’agricoltura e un terzo nella produzione industriale di alimenti e bevande) e il 6,9% delle unità di lavoro del Paese.
A dare impulso al settore – spiegano i ricercatori - l'attenzione all'innovazione sostenibile. Dall'indagine effettuata su un campione di aziende della filiera emerge che l'80% delle imprese ha realizzato innovazioni di prodotto o di processo tese a migliorarne congiuntamente le performance economiche, il rispetto dell'ambiente e la vita sociale e che il 97% delle stesse intende introdurre innovazioni sostenibili nei prossimi tre anni. Tali innovazioni si concentrano prevalentemente sui processi e le piu' diffuse riguardano l'utilizzo di fonti di energia rinnovabili (il 74,6%), il riciclaggio e il riutilizzo delle risorse materiali (il 52,2%), l'introduzione di tecnologie in grado di ridurre i consumi energetici, i rifiuti prodotti, l'inquinamento atmosferico (il 65,7%) e i processi di dematerializzazione delle informazioni (il 55,2%).