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Filiera Corta

Ristoranti, i pasti fuori casa calano del 2,5%

Con la crisi gli italiani hanno tirato la cighia e a farne le spese è stata anche la ristorazione. I consumi alimentari fuori casa sono calati di 2,5 punti percentuali (piu' del previsto) per un valore di circa 1,4 miliardi di euro al netto dell'inflazione. Una perdita che equivale al fatturato aggregato di piu' di ottomila imprese ma le aziende che hanno realmente cessato l'attivita' sono state, nel 2009, oltre 22mila, ben piu' di quelle che, al contrario, l'attivita' l'hanno avviata (il saldo negativo ammonta a circa 2.000 unita'). In termini occupazionali il settore ha perso 16.200 posti di lavoro, piu' dell'industria dei trasporti o di quella tessile.

A lanciare l'allarme è la Fipe che parla di un dato "storico" per i pubblici esercizi in Italia, soprattutto se si considera che sono sempre piu' numerose le attivita' di ristorazione rilevate da imprenditori che non sempre vantano le stesse storiche caratteristiche professionali (nelle grandi aree urbane quasi una nuova impresa su due ha un titolare straniero). Da qui, il rischio di veder cambiare profondamente le caratteristiche del modello di offerta sia in termini di prodotto/servizio che di qualita'.


La perdita dell'occupazione si concentra quasi totalmente tra i lavoratori indipendenti (-13.500 unita'), mentre la flessione del lavoro dipendente e' stata contenuta in circa 2.700 unita'. Il 2009 interrompe quindi, secondo la federazione, una striscia positiva di incrementi occupazionali che durava dal 1999. L'esaurimento della capacita' della ristorazione, ma piu' in generale dell'intero terziario di mercato, di creare nuovi posti di lavoro, magari anche assorbendo lavoratori espulsi da altri settori di attivita', costituisce una seria ipoteca sulle prospettive di tenuta e crescita dei livelli occupazionali del Paese. Il valore aggiunto di settore e' diminuito dell'1,2%, una perdita di 340 milioni di euro e continua la serie negativa della produttivita' con una flessione di mezzo punto percentuale. "Queste perdite di professionalita' - ha osservato il presidente della Fipe, Lino Stoppani - sono un danno per chi vive personalmente questo trauma, ma anche un danno per tutta la collettivita'. Esiste il serio rischio - ha aggiunto - che il settore subisca una de-qualificazione inquietante, perche' spesso questi nuovi ingressi hanno una minore professionalita' di chi esce dal settore". Se si guarda poi ai consumi in generale, secondo la Fipe, la sforbiciata delle famiglie vale 14 miliardi di euro, al netto dell'inflazione. I settori piu' colpiti sono l'arredamento, l'alimentare e l'abbigliamento. Perdite pesanti si sono registrate anche nelle spese per attivita' ricreative e culturali (-1,7 miliardi di euro) e per alberghi e pubblici esercizi (- 2 miliardi di euro). Se il livello generale dei consumi e' tornato indietro di 4-5 anni, arretramenti piu' consistenti si sono avuti per alcune funzioni di spesa. Nei consumi alimentari l'Italia e' tornata ai livelli di dieci anni fa, mentre su abbigliamento/calzature e arredamento il salto all'indietro e' addirittura di 15 anni (1995). La spesa per giornali e libri e' tornata invece ai livelli del 1982.

Guadagnano terreno solo le cosiddette spese obbligate (abitazione e sanita') e quelle per i trasporti trainate dall'effetto incentivi. La crescita della spesa per l'istruzione va invece interpretata positivamente come misura della volonta' delle famiglie di non rinunciare ad investire sul futuro dei propri figli.

in data:26/04/2010

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