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Vino, il pericolo arriva dalla Cina
A lanciare l’allarme è Assoenologi. Il Paese asiatico, ricorda il Direttore dell’associazione Martelli, impianta di più al mondo ed è giunto a produrre ben 30 milioni di ettolitri di vino all'anno, poco meno della metà della produzione italiana
Roma - Da qui a dieci anni la Cina riuscirà a produrre vini di qualità in grado di fare concorrenza al nostro Made in Italy. A mettere in guardia dal pericolo asiatico e a lanciare l'avvertimento è Assoenologi - l'organizzazione dei tecnici del settore vitivinicolo italiano - al 67° congresso nazionale di categoria, in corso in questi giorni, a bordo di "Costa Atlantica", in navigazione da Savona a Ibiza
La Cina del vino è molto più vicina di quanto non sembri. Da mercato di sbocco per l'export italiano, in un futuro non troppo lontano, il Paese asiatico diventerà un competitor dei vini Made in Italy.
Sempre di più la Cina fa parlare di sé. Un mercato da presidiare, ma da cui è necessario iniziare a guardarsi le spalle. "I cinesi si stanno attrezzando per aggredire i mercati di sbocco italiani", ha dichiarato il direttore generale di Assoenologi, Giuseppe Martelli, nel corso del suo intervento. A dircelo sono i dati. La Cina, ricorda, è il Paese che impianta di più al mondo ed è giunta a produrre ben 30 milioni di ettolitri di vino all'anno, poco meno della metà della produzione complessiva italiana. "Una produzione che non potrà trovare solo sbocco sul mercato interno e che quindi dovrà trovare nuove valvole di sfogo". Altro elemento da non sottovalutare, sono gli ingenti investimenti in macchinari e tecnologia, ma anche in know how che il gigante asiatico sta compiendo.
Il livello dei vini prodotti all'ombra della Grande muraglia, rassicurano gli esperti italiani, per ora non preoccupano. Tuttavia, spiega Martelli, "le joint venture che vengono fatte tra Cina e Paesi europei ci fanno pensare ad un incremento di qualità decisamente interessante che, di qui a dieci anni, potrebbe individuare delle sfere di mercato che fanno gola anche agli europei".
Inizialmente, secondo le previsioni di Assoenologi, i mercati di sbocco cinesi dovrebbero essere quelli asiatici, dove i consumatori intendono il vino in modo diverso da noi. Il vino cinese, conclude Martelli, potrebbe essere veicolato anche attraverso le migliaia di ristoranti cinesi presenti nel mondo.
Per adesso il pericolo è scongiurato, affermano gli enologi, ma è necessario ripensare il modo di aggredire i mercati stranieri. Nonostante il fatto che il vino italiano piaccia e resti quello più venduto nel mondo, come dimostrano i più recenti dati sulle nostre esportazioni - che nel 2011 hanno registrato un incremento del 12% in valore e del 9% in volume rispetto al 2010 - l'Italia non può permettersi di dormire sugli allori.
"Dobbiamo muoverci compatti per penetrare meglio in quei mercati dove l’Italia non è in posizione dominante", ha sottolineato nel corso del suo intervento, Ettore Nicoletto, amministratore delegato del gruppo Santa Margherita. La frammentarietà delle aziende, ha detto, "non è un alibi, esiste, ma non possiamo dimenticarci le qualità che abbiamo e che ci mettono insieme". La carta vincente, rilancia Nicoletto, è quella dell'abbinamento del vino al cibo. "Un nostro patrimonio esclusivo, che può diventare il cappello comune sotto il quale unire le imprese italiane e conquistare nuove fette di mercato”.
“L'Italia non è consapevole della qualità dei propri vini e nemmeno del potenziale che questi, assieme all'abbinamento del cibo possa avere in termini di penetrazione sui mercati”, ha affermato il presidente dell'Union internationale des Oenologues, la federazione che riunisce le associazioni nazionali di categoria dei tecnici del settore vitivinicolo, Serge Dubois. “Nel mondo oggi si mangia italiano e non più francese e i vini italiani hanno saputo fare passi da giganti”. Negli ultimi anni, sostiene, gli enologi italiani hanno saputo innovare e sperimentare, mentre i loro colleghi francesi “sono rimasti ingessati e schiacciati sotto il peso della tradizione dei grandi vini di Borgogna e di Beaurdeaux”. Il vino italiano inizia a fare paura al mercato francese, ha poi concluso Dubois, ricordando che in Quebec, dove i legami con la Francia sono secolari, c'è stato lo storico sorpasso dei vini italiani su quelli francesi.
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