Ti informiamo che, per migliorare la tua esperienza di navigazione questo sito utilizza dei cookie. In particolare il sito utilizza cookie tecnici e cookie di terze parti che consentono a queste ultime di accedere a dati personali raccolti durante la navigazione. Per maggiori informazioni consulta l’informativa estesa ai sensi dell’art. 13 del Codice della privacy. L'utente è consapevole che, proseguendo nella navigazione del sito web, accetta l'utilizzo dei cookie.

Home » Filiera Corta » Cosa c’è in una tazzina di caffè?

Filiera Corta

Cosa c’è in una tazzina di caffè?

Uno studio sulle caratteristiche chimiche e composti aromatici nel caffè Arabica in relazione alle diverse tipologie di produzione della bevanda

Roma- Il caffè è uno dei pochi alimenti che viene consumato quasi solo per puro piacere. Ma non tutti i caffè sono uguali, come sa bene chi ha viaggiato all’estero e provato a bere un “caffè”. Eppure l’Italia non è certo un Paese produttore di caffè, ma l’ingegno italiano e la tradizione volta al continuo miglioramento ha fatto di questo prodotto, e in particolare del caffè Espresso, uno dei simboli dell’Italia.

Una ricerca svolta presso il Dipartimento di Agraria dell’Università di Napoli Federico II coordinata dal Dott. Alessandro Genovese e svolta dal Dott. Nicola Caporaso e Alberto Civitella ha studiato la composizione chimica e l’aroma di diverse tipologia di caffè, in funzione della tecnologia di estrazione, quella che in inglese viene chiamata “brewing”. Lo scopo dello studio è stato valutare quali differenze apporta la tecnologia di estrazione su diversi parametri chimici (polifenoli, attività antiossidante, caffeina, pH, ecc.) e sulle molecole volatili, responsabili del tipico odore di caffè. Dallo stesso batch di caffè arabica sono stati prodotti diversi caffè: espresso, “americano”, moka e napoletano. Quest’ultimo è una tecnologia di estrazione tradizionale e tipica di Napoli, di cui si hanno notizie già a fine dell’Ottocento, ma poco conosciuta ai più.

In sostanza, i ricercatori si sono posti la domanda: perché partendo dalla stessa polvere di caffè si ottengono bevande completamente diverse, e in cosa differiscono?
Ovviamente la prima differenza consiste nel volume. Un espresso è tipicamente di 25 millilitri, mentre un americano può avere un volume dieci volte superiore. Cambia inoltre la relazione acqua/polvere di caffè, ma sono soprattutto i parametri tecnologici che influiscono sull’aroma e sulla composizione finale. In particolare la temperatura di estrazione e la pressione.
Partendo dalla bevanda più “blanda” a quella più “forte”: la napoletana, l’americana, la moka e l’espresso. La prima si basa su una tecnologia molto semplice, cioè sulla percolazione di acqua calda attraverso un filtro di alluminio. La seconda, anch’essa basata sulla percolazione a pressione atmosferica, utilizza temperature leggermente più alte e la tazza con la bevanda è continuamente riscaldata elettricamente, anche per ore, fino al consumo del caffè. La moka, nota a tutti gli italiani ma ancora poco conosciuta in paesi non del Mediterraneo, raggiunge temperature e pressioni più elevate, ma certamente di molto inferiori a quelle raggiunte dall’espresso. In una normale macchina espresso da ufficio, infatti, la pressione raggiunta può essere anche di 7-9 bar, senza contare la più sofisticata macchina da bar.

Nonostante queste variabili, sembra che anche altri fattori abbiano un ruolo rilevante nel determinare differenze nei vari caffè, in particolare nella composizione aromatica, come la quantità di solidi totali (che indica il “corpo” di un caffè), la quantità e concentrazione di lipidi (infatti i grassi sono responsabili di molte delle ben note caratteristiche sensoriali dell’espresso), e il rapporto relativo di alcune molecole volatili.
Nel caffè sono state descritte oltre 800 molecole volatili, ma solo poche di queste hanno un impatto sensoriale, e cioè sono rilevabili dal nostro naso quando degustiamo un caffè. Lo studio dei ricercatori della Federico II è stato quello di “seguire” e quantificare alcuni “composti chiave”, e hanno riscontrato ad esempio che molecole come l’esanale e il β-damascenone sono caratteristiche del caffè napoletano. Ciò non significa che sono assenti nelle altre tipologie di caffè, ma che risultano sempre in concentrazione maggiore proprio nel caffè napoletano rispetto agli altri studiati. Tutto ciò ha una spiegazione chimica, in quanto l’esanale è un prodotto dell’ossidazione dei grassi, lo stesso che si può trovare in grandi concentrazioni negli oli di oliva vecchi (ossidati). Per la moka invece, è risultata distintiva la maggior concentrazione di guaiacolo e le pirazine, molecole dal tipico odore di bruciato, cotto, arrostito, ecc. Il caffè americano, invece, nonostante la somiglianza della percolazione con quello napoletano, risulta più dolce per la maggior concentrazione del β -damascenone, una molecola che viene descritta con un tipico aroma di dolce, burro e floreale. L’espresso, infine, che senza dubbio supera tutti gli altri caffè in termini di quantità totale di molecole aromatiche, ed è più ricco di aldeidi e 2-furanmethanol acetate, che risulta in un aroma più fruttato, floreale, di cioccolato, ecc.
Dal punto di vista di altre molecole non volatili ma interessanti per la nostra salute, l’espresso è risultato molto più ricco in caffeina, con una concentrazione quasi doppia rispetto all’americano. Anche l’attività antiossidante nell’espresso è risultata maggiore, seguita dalla moka, dalla napoletana e americana. Più simile invece è stata la concentrazione di polifenoli, essendo significativamente più bassi (meno della metà) nell’americano.
Bisogna però considerare che la quantità di caffè che si assume dipende molto da ciascuna tipologia: se una tazzina di espresso è 25 millilitri, con un caffè americano si sta consumando una quantità maggiore, per cui si sta assumendo una quantità quasi tripla di caffeina (170 mg in una tazza di “americano” e 60 in un espresso).

Un altro dato interessante della ricerca è stato quello di verificare che non sempre a maggiore concentrazione di polifenoli totali corrisponde una maggiore attività antiossidante. Quest’ultimo parametro indica la capacità di una sostanza di rallentare l’ossidazione, che tradotto ulteriormente indica quanto un alimento potrebbe rallentare l’invecchiamento cellulare. Uno dei benefici dei polifenoli è infatti proprio questo, ma nel caso della moka si assiste ad un aumento dell’attività antiossidante superiore ad altri caffè simili (es. caffè alla napoletana) per una reazione che si sviluppa ad alte temperature, chiamata reazione di Maillard, che produce composti con un’altissima attività antiossidante.
Queste sono solo alcune delle affascinanti reazioni che legano la chimica del flavour e dell’aroma ad una buona tazza di caffè.

Nicola Caporaso

in data:25/11/2013

Cerca

Multimedia

  • video

    Tg Agricoltura. Edizione 4 luglio

  • foto

    Binomio, a Roma arriva la cucina all day long nata in Catalogna

  • video

    Tg Agricoltura. Edizione 27 giugno