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Dal Nord al Sud, ecco la nuova “capital map” del Vigneto Italia

La viticoltura made in Italy è sempre più oggetto di investimenti in tempo di crisi. Storicamente, a fare la parte del leone grandi gruppi finanziari ed industriali degli Stati Uniti, seguiti da Brasile e Russia, mentre aumenta l’interesse della Cina

Roma- L'Italia del vino, nonostante la crisi economica, continua ad attirare capitali, soprattutto dall’estero. I territori e le aziende del vino made in Italy si confermano realtà a cui il mondo finanziario ed imprenditoriale guarda ormai come ad un bene rifugio, paragonabile all’oro.

Il vino italiano, forte del successo legato all’export, è ormai- si legge in una nota di Vinitaly-  primo per il rapporto qualità/prezzo, la ricchissima articolazione delle sue tipologie e l’immagine. E l’Italia resta decisamente il contesto migliore per fare business con il vino.
Per il professor Stefano Cordero di Montezemolo, direttore dell’European School of Economics di Milano e Firenze «queste tendenze dimostrano che il mondo del vino ha retto la crisi meglio di altri e lo ha fatto perché non è solo business, ma anche paesaggio, storia, popolo, cultura. I capitali stranieri possono essere un’opportunità per i territori se si creano disponibilità e apertura tali da contribuire alle trasformazioni richieste dalle moderne logiche della competizione in un settore che non può più vivere solo di qualità del prodotto».

Gli esempi di investimenti non mancano, sia da parte di grandi gruppi finanziari ed industriali più attenti all’aspetto produttivo, sia da chi guarda al valore aggiunto immobiliare e al patrimonio fondiario per costruire o ricostruire un’impresa vitivinicola tra le colline dei terroir più importanti. Basti pensare al passaggio, nel 2011, di due colossi come la toscana Ruffino nelle mani americane di Constellation Brands e la piemontese Gancia in quelle di Russian Standard Corporation. O a Soleya International Corporation di Panama che ha comprato Tenuta Oliveto a Montalcino, o ancora ad Alejandro Bulgheroni, imprenditore argentino del petrolio, neo proprietario di Poggio Landi a Montalcinoche ha anche acquisito la tenuta di Dievole nel Chianti Classico.

Dalla fine degli anni ’70, quando la famiglia italo-americana Mariani fondò a Montalcino Castello Banfi, sono state tante le realtà vinicole che, soprattutto, ma non solo, in Toscana, sono state protagoniste di un “capital gain” dall’estero, in particolare dal mondo anglo-americano, E’ stato l’americano Louis Camilleri, alla guida di Altria Group Inc, la holding che controlla il gruppo Philip Morris, ad acquistare, a Montalcino, villa & tenuta “Il Giardinello”, mentre La Porta Vertine di Gaiole in Chianti, dal 2006, è degli imprenditori americani Dan ed Ellen Lugosh e la cantina Capannelle di James B. Sherwood, fondatore del gruppo Orient - Express Hotels.
Ma i vigneti italiani hanno estimatori anche tra i big dello star system internazionale: in Toscana, tra il Chianti e il Valdarno, c’è Tenuta il Palagio dove, dal 2003, l’ex leader dei Police, Sting, produce vino. E un altro big della musica internazionale, Mick Hucknall, voce dei Simply Red, nel 2002 ha comprato vigneti in Sicilia dove ha creato la sua tenuta Il Cantante. Nel 2000 era stato invece Richard Parsons, ex ad della Time Warner ad acquistare la tenuta Il Palazzone a Montalcino.

Sono questi solo alcuni dei casi che raccontano l’appeal del vino italiano all’estero che oggi attira anche l’interesse delle economie emergenti. Come la Cina, che potrebbe arrivare. Se, infatti, diversi imprenditori o gruppi cinesi hanno già investito nel vino anche fuori dai confini nazionali, in Francia, ma anche negli Stati Uniti e in Australia, c’è da pensare che sia solo questione di tempo prima che il Celeste Impero pianti qualche bandierina pure nel Bel Paese

in data:02/04/2013

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